Travestimento, solo virtuosismo? Anche ricerca sul mistero dell’identità sessuale e scenica, tra maschera e personaggio
Andrea Bisicchia, «Lo Spettacoliere».
Mentre Galatea Ranzi interpreta il personaggio della Bernhardt in Lezioni di Sarah, regia Ferdinando Ceriani, che prende spunto da L’arte del teatro e, in particolare, da tre lezioni della famosa attrice, Mattia Visani pubblica, per Cue Press, il testo esauritissimo di Laura Mariani: Sarah Bernhardt, Colette e l’arte del travestimento (prima edizione, Il Mulino, 1996).
Si tratta di un volume bipartito perché contiene, nella prima parte, una breve storia del travestimento e dell’intersessualità a teatro, ottimamente documentata da una fitta bibliografia, mentre, nella seconda, troviamo le biografie professionali e artistiche della Bernhardt e di Colette.
La prima parte, pertanto, è propedeutica alla comprensione della seconda, perché, approfondendo il tema del travestimento, dal teatro greco-romano a quello di fine Ottocento e oltre, l’autrice mette il lettore nelle condizioni di conoscere come certe scelte, in ambito teatrale, non siano il frutto di facili virtuosismi, bensì di un itinerario che si è modificato nel tempo, acquisendo, di volta in volta, significati non solo artistici, ma anche sociali e antropologici.
Cosa ha significato il travestimento in teatro e in letteratura? Si chiede la Mariani. A giudicare dal materiale raccolto, la risposta consiste nel sottolineare la molteplicità di accezioni che il travestimento ha assunto, per l’artista, sempre portatore di nuove visioni e sempre in cerca del mistero dell’identità, quella sessuale e quella scenica, che mette in contrapposizione il rapporto tra maschera e personaggio, alimentando una forma di ibridazione. Il processo della Mariani, pur partendo dal passato, ha uno sguardo fisso al presente, tanto da elencare una serie di attori che, nel secondo Novecento, hanno fatto ricorso a tale arte, da Carmelo Bene a Enzo Moscato, da Marisa Fabbri a Mariangela Melato, da Edmonda Aldini ad Andrea Jonasson, da Maddalena Crippa a Elisabetta Pozzi, da Laura Curino a Ermanna Montanari. Un posto particolare occupano Leo de Berardinis per la sua Ilse nei Giganti della montagna, di cui era anche regista, Marion D’Amburgo per Genet a Tangeri, regia di Tiezzi, Franca Nuti per Ignorabimus, regia di Ronconi. Si tratta di una scelta del travestimento che non ostenta la femminilità, che non utilizza la mascherata e, tanto meno, la dissimulazione della figura femminile e del suo doppio.
Quando si arriva alla Bernhardt e a Colette, il piano di studio della Mariani può accedere a dei confronti, ma anche a delle attese, nel senso che, di queste due artiste leggendarie, ci offre dei ritratti singolari, attraverso i quali il professionismo artistico si alterna con quello imprenditoriale, tanto che seppero, entrambe, costruire il binomio arte-industria, grazie ai mutevoli rapporti che ebbero con la recitazione, con la letteratura e con l’arte figurativa. Entrambe conquistarono gli spettatori esibendo il doppio della loro femminilità, intrecciando l’attività teatrale con l’elaborazione di un linguaggio che fosse connaturato alla loro natura, quella di attrice (Bernhardt) e quella di performer (Colette). Ecco il motivo per cui sono state figure di riferimento per attori e attrici del Secondo Novecento.